Il Dittico di Wilton House
Fra le varie situazioni singolari che mi sono capitate negli ultimi anni, c’è stata quella di lavorare con un’insegnante di Arte e immagine che si è poi rivelata l’autrice di un romanzo giallo.
Qualcuno starà già pensando che la cosa non è poi così strana, considerato che viviamo in un Paese che ha più scrittori che idraulici (in media 1 scrittore ogni 246 lettori). Tuttavia, ho trovato molto curioso il fatto che un’insegnante della scuola in cui insegnavo proprio quell’anno avesse scritto e pubblicato un giallo.
Era il 2019. Un anno che si è rivelato decisivo per il mio futuro lavorativo. A settembre, a sorpresa, avevo ottenuto la cattedra in una scuola di Milano (fra l’altro lontanissima dal posto in cui vivevo). Non ero particolarmente felice di questo perché, anche se ero stata io stessa a farne richiesta, quel lavoro “a tempo indeterminato”, quando finalmente è arrivato, mi costringeva a riflettere molto seriamente su un’altra situazione lavorativa che, seppur non strutturata, andava avanti da molti anni: il mio impegno nella ricerca (ambito sociologico) all’università. E allora, le domande che già silenziosamente serpeggiavano dentro di me da tempo (da troppo tempo), mi si materializzarono davanti, non lasciandomi più vie di fuga: era realistico pensare di avere ancora un futuro nel mondo accademico? E che tipo di futuro, poi? Il mio curriculum era tale da poter fare quel passo in più e ambire a ruoli più definiti? Le risposte che fui costretta a darmi, non furono piacevoli (no, non avevo più un futuro in quell’ambiente. Perché negli anni avevo fatto evidentemente poco per costruirlo…) Così, scelsi (non senza sofferenza) di tagliare definitivamente con il mondo che mi aveva fornito un’identità professionale fino a quel momento. Fra le tante cose, quello che mi faceva più male era anche la convinzione che non avrei più avuto la possibilità di lavorare su argomenti interessanti e con persone intellettualmente stimolanti e creative.
Sull’ultimo punto, però, mi sbagliavo. E, infatti, senza neppure saperlo, stavo già lavorando con una scrittrice. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che un libro giallo non è un trattato di Sociologia e che un giallista non è uno studioso dei fenomeni della società umana… Ma, per come la vedo io, quando si scrive un romanzo (che sia giallo o di altro genere) si finiscono per descrivere e interpretare anche ambienti e interazioni sociali. Anzi, alcuni scrittori riescono a fare analisi talmente acute del rapporto individuo/gruppo sociale che i loro libri sono citati nelle bibliografie di autorevoli saggi sociologici.
Comunque, tornando alla mia collega-scrittrice di quell’anno, sapevo che (oltre a essere una diplomata in pittura all’Accademia di Brera) aveva pubblicato parecchi libri per la collana “Arte per te” di ABEeditore. Ero a conoscenza di questo perché fui coinvolta insieme a lei in un progetto scolastico di Arte che aveva come tema i naufragi e altre catastrofi. In questo mini-corso/laboratorio dedicato all’arte pittorica, Viviana Ponti (questo il suo nome) presentò ai ragazzini alcuni capolavori della pittura di ogni epoca in cui erano rappresentati i disastri che avevano affascinato artisti famosi: l’improvviso scatenarsi di una tempesta, il travolgente movimento di un’onda impazzita, il vorticare furioso di una bufera di neve, le scosse violente di un terremoto, l’eruzione scenografica di un vulcano. Mi ricordo che, sia io sia i miei giovani studenti di quell’anno, ascoltavamo rapiti le storie di catastrofi raccontate dai dipinti di H. Rousseau (“La nave nella tempesta), di Francisco Goya (“Tempesta di neve”), di Giuseppe Tinti (“San Francesco Solano indica un terremoto”) e di William Turner (“Eruzione del Vesuvio”) in cui l’uomo, a volte, soccombeva nei confronti della natura; a volte, invece, si salvava, ma, quando questo avveniva, non era più lo stesso di prima perché, dopo essere scampato all’evento catastrofico, aveva maturato la consapevolezza di essere solo una piccola cosa in balia del destino.
Che Viviana avesse scritto e pubblicato anche un giallo, però, lo ignoravo completamente e lo venni a sapere solo alla fine dell’anno scolastico, quando ormai ci vedevamo per le ultime riunioni prima della chiusura estiva. In una di queste occasioni mi regalò il suo libro.
Soffermandomi solo sulle immagini della copertina e sul titolo, non avrei mai detto che quel grazioso volumetto potesse essere un giallo. È un libro che ha, infatti, una copertina dalle tinte molto belle, che virano dal color lavanda al blu-viola per poi sfumare nel rosa tenero. Ma non si tratta solo di colori. Le immagini che vi sono riprodotte sono “angeliche”, tratte da un particolare del Dittico di Wilton House, un capolavoro del Gotico internazionale, realizzato fra il 1395 e il 1399, e attualmente custodito alla London National Gallery. Si tratta di due angeli vestiti di blu lapislazzuli e che hanno sul capo una corona di rose. Appuntata sulla spalla sinistra, portano una spilla raffigurante un cervo bianco; mentre al collo hanno una collana di ginestra. Entrambi i simboli sono emblemi di Riccardo II. Infatti, nel resto della scena del dittico (che io ho visionato su Internet) c’è la Madonna col Bambino (circondata da altri nove angeli dalle vesti blu) che conferisce a Riccardo II (raffigurato sulla tavola di sinistra) i poteri per governare sull’Inghilterra.
Il titolo del romanzo poi, è assolutamente in linea con i colori e le immagini della copertina: “Il riposo degli Angeli”.
Pubblicato nel 2009 da RobinEdizioni, il libro racconta una storia che si svolge in una immaginaria località inglese (St. Cloud –Vecchia Inghilterra-) che si affaccia sul mare del Nord. E chi mi legge da tempo, sa già che l’ambientazione è sicuramente nelle mie corde. Anzi, dalle descrizioni di Viviana, io immagino che St. Cloud possa essere un pittoresco paesino della Cornovaglia situato nei pressi di una scogliera bellissima e molto pericolosa… Il protagonista/detectivepercaso del giallo è un ingegnere milanese (sedentario convinto) che si trova in quel luogo solo temporaneamente e in seguito a una questione di famiglia. In maniera del tutto inspiegabile per lui (perché è sempre stato un uomo scettico e razionale), inizia a percepire la presenza di angeli che lo spingono a indagare su alcuni eventi misteriosi avvenuti in quel piccolo paese di provincia, apparentemente tranquillo e monotono: la scomparsa di un bambino, la morte di un mendicante cieco, i tragici incidenti in cui rimangono coinvolti il vecchio parroco e un’anziana campeggiatrice.
Mi spiace molto di non avere avuto la possibilità di confrontarmi con Viviana dopo aver letto il suo giallo: quell’estate, infatti, ottenni il trasferimento in una scuola più vicina al posto in cui abito. Per di più, mi sono accorta di aver memorizzato male il suo numero di cellulare…
E allora una domanda gliela faccio da qui: perché gli angeli? Forse perché negli anni in cui hai scritto il libro erano soggetti molto di moda? O Forse perché, da artista di Brera, eri talmente innamorata del Dittico di Wilton House da aver ideato un modo per celebrarlo nel tuo libro?
Qualunque sia il motivo della scelta, gli angeli stanno bene in questo giallo, perché la loro presenza è lieve, anche se continua.
La storia è avvincente sin dalle prime pagine, e cioè sin da quando il protagonista trova un piccolo quaderno blu lapislazzuli in cui sono indicate due date e due brevi frasi piene di inquietudine e tragedia…
Il linguaggio dell’autrice è molto scorrevole e la descrizione dei luoghi e dei personaggi mi ha ricordato moltissimo lo stile di Agatha Christie.
Ora vi starete chiedendo che ruolo ha il cibo in questo romanzo. La risposta è: di conforto. Decisamente. In verità, i riferimenti a esso non sono molti perché la vicenda si svolge nell’arco di una settimana e il protagonista appare sempre impegnato a sbrigare numerose faccende perché ha fretta di lasciare quel posto. Si cita spesso la sua colazione italianissima con caffè e pane e marmellata e il pranzo a base di panini. Tuttavia, quando il cibo più elaborato entra fra le righe del libro viene utilizzato dall’autrice come consolazione emotiva e proprio nel momento in cui il protagonista appare giù di morale. Solo quando mangi ciò che ti scalda il cuore ti senti protetto e amato. Ed è esattamente così che si sente l’ingegnere milanese dopo aver mangiato pasticcio di rognone (accompagnato da patate arrosto e pane alla segale) e torta alle mele alla locanda della signora Mason. Lui non aveva mai mangiato pasticcio di rognone (ovviamente), ma era curioso di assaggiarlo perché gli ricordava Dickens e i libri gialli con Miss Marple…
Già, la cara e dolce Miss Marple! Anch’io associo Miss Marple al rognone a colazione e non è certo un caso se la prima ricetta che ho preparato per Giallidaassaporare è stata proprio “Rognoni al bacon” (clicca qui per la ricetta e qui per leggere l’articolo).
Siccome siamo quasi ad agosto, però, trovo un tantino pesante l’idea di riproporvi il piatto nella versione “pasticcio” (steak and kidney pie). Ma vi prometto che in autunno o in inverno lo preparerò e ne condividerò la ricetta in voga ai tempi di Agatha Christie. Se proprio volete un pasticcio in agosto dovete accontentarvi del cornish pasty (anch’esso tipico della Cornovaglia) che ho già preparato e condiviso sul blog tempo fa (clicca qui per la ricetta e qui per leggere l’articolo).
Potrei sempre preparare la torta di mele, ma anche quella (soprattutto se realizzata con la ricetta di Agatha) ha un che di autunnale che non si addice alla cucina di questo periodo. Ma se proprio volete una fetta di torta posso proporvi una versione vegana con mela e zenzero che ho sperimentato tempo fa (la ricetta è qui).
Anche dopo tutte queste proposte culinarie, non mi sento soddisfatta perchè voglio dedicare a questo libro una ricetta…celestiale! Gli scones. Certo! Sono sicura che piacerebbero anche agli angeli. O, almeno, agli angeli del Devon e della Cornovaglia.
E allora, che tea time sia! Clicca qui per la ricetta degli scones…
8 thoughts on “Il Dittico di Wilton House”
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