
Io, le zucche e Halloween
Chi segue il mio profilo su Instagram, si sarà accorto della mia grande simpatia per Halloween e per le zucche.
Questo feeling non è recente, ma risale più o meno alla prima metà degli anni ’80, quando frequentavo le medie.
Fino all’ultimo anno delle elementari, c’erano i giorni dei santi e dei morti (entrambi giorni di vacanza). Mi piacevano particolarmente perché i fruttivendoli del paese si trasformavano magicamente in fiorai, vendendo, oltre che frutta e verdura, anche dei fiori che io trovavo (e continuo a trovare) bellissimi: i crisantemi. Ma quei giorni, per me, erano speciali anche per un altro motivo: qualcuno in paese cucinava per tutti (parenti, amici, vicini di casa, conoscenti e anche sconosciuti) la deliziosa minestra di ceci di vi ho già parlato in un altro articolo (clicca qui se vuoi leggerlo).
Poi, almeno per me, è arrivato Halloween. Prima in sordina, attraverso un romanzo di Agatha Christie; poi, in maniera più “scenografica”, attraverso i vari sequel del film “Halloween” (1978) di John Carpenter (che perl’ipnotica colonna sonora e l’orrido Michael Mayers, è diventato un classico del genere slasher movie, ovvero di quei film horror in cui l’antagonista principale è un maniaco omicida -spesso mascherato- che dà la caccia a un gruppo di persone -spesso adolescenti- per ucciderli in modo cruento con delle armi da taglio).

A ogni modo, con la scoperta di Halloween, le zucche divennero per me improvvisamente interessanti. Prima erano solo roba per nutrire i maiali. Non a caso, uno dei ricordi più vividi della mia infanzia, è legato proprio alla sistemazione nei “catòi” (magazzini) di scorte di zucche destinate ai pasti dei maiali. Da bambina, infatti, più volte, mi è capitato di aiutare la mia amica d’infanzia Aurora a sistemare quelle coltivate da suo padre, ricevendo anche piccole ricompense per il lavoretto svolto. E poi c’era il rito di tutti i pomeriggi autunnali: il papà o la mamma della mia amica prendevano una zucca dal loro magazzino, la lasciavano cadere pesantemente per terra, in strada, in modo che si spaccasse e poi la tagliavano in grandi pezzi irregolari con un grosso coltello. Quella zucca, insieme agli altri scarti di frutta e verdura della giornata, avrebbero costituito il pasto giornaliero dei loro maialetti, almeno fino a dicembre/gennaio perché poi sarebbero stati trasformati con maestria in salsicce piccanti, soppressate e capicolli.
Forse proprio l’associazione zucca/cibo per maiali faceva sì che il buffo ortaggio fosse un po’ snobbato dalle massaie del mio paese. Tuttavia, c’era un momento dell’anno in cui esso rivendicava un posto di assoluto rispetto sulle tavole: nella tradizionale cena della Vigilia di Natale. In quell’occasione, la zucca (nella varietà da noi chiamata “spagnola” che presenta una polpa molto compatta e un colore arancio vivo) veniva fatta a fette piuttosto sottili, infarinata e fritta in abbondante olio evo.

Oltre a non essere molto utilizzate in cucina, dalle mie parti le zucche non godevano neppure di una buona reputazione, tant’è che il termine dialettale “cucuzza” (zucca) era anche sinonimo di persona poco intelligente. E c’è di più: se una persona veniva definita “cucuzza simentina” (trad.: zucca ricca di sementi ) significava che era veramente irrecuperabile per stupidità.
Il mio maestro delle elementari chiamava “cucuzza simentina” Carlo: ripensando al mio vecchio compagno di scuola, ora capisco il perché…
Come vi accennavo prima, io ho iniziato a rivalutare le zucche solo dopo aver letto Hallowee’n Party (1969) di Agatha Christie, pubblicato in Italia con il titolo “Poirot e la strage degli innocenti”.
Oggi mi rendo conto che non è il miglior romanzo di Agatha, ma quando lo lessi per la prima volta mi piacque. Soprattutto nella parte iniziale, quando in casa Drake iniziano i preparativi della festa di Halloween: le donne più efficienti e dinamiche di un piccolo villaggio inglese (la preside della scuola, una maestra, la sorella dell’organista, ecc.), coadiuvate da un gruppo di adolescenti del luogo, erano riunite a casa di Rowena Drake, una ricca vedova del posto, per aiutarla a preparare un party che si sarebbe svolto in occasione della Vigilia di Ognissanti. L’evento era destinato ai ragazzi del villaggio di età compresa fra i 10 e i 17 anni. Per l’occasione la sala principale di Apple Trees, la villa in stile georgiano della signora Drake, era stata disseminata di zucche gialle e verdi, posizionate in punti strategici, e di vasi contenenti composizioni floreali a tema autunnale. Nella biblioteca della villa era stato sistemato un grande secchio contenete acqua e mele per fare l’apple bobbing: ovvero un gioco in cui i partecipanti dovevano addentare i frutti mentre galleggiavano, senza però servirsi delle mani. Il programma della serata era ricco di attività e di giochi tipici di Halloween: prima il concorso dei manici di scopa decorati (con relativa premiazione dei tre più originali); a seguire la gara della torta di farina; poi l’apple bobbing; seguiva il ballo in cui le coppie si scambiavano appena le luci venivano spente; poi il gioco degli specchi (destinato alle ragazze che intendevano vedere il volto del loro futuro marito); e, infine, dopo la cena, lo snap dragon, ovvero il gioco in cui veniva incendiata una ciotola contenente brandy e uvetta e in cui i partecipanti dovevano recuperare al buio più uvetta possibile senza bruciarsi.
Alla fine della festa, però, una macabra scoperta: la tredicenne Joyce viene trovata morta in biblioteca con la testa immersa nel secchio di acqua e mele.
La scrittrice Ariadne Oliver, presente al party come ospite di una signora del luogo, si precipita dal suo amico detective Hercules Poirot perché risolva il caso…

La trama e l’ambientazione del romanzo sono senz’altro promettenti, ma, secondo il mio modesto giudizio, Agatha non si è impegnata abbastanza per dare spessore ai suoi personaggi, che rimangono, per così dire, irrealizzati e mai approfonditi. E poi, personalmente, avrei gradito più descrizioni relative alle atmosfere autunnali inglesi e, più riferimenti al cibo.
Che poi, il libro sia figlio del suo tempo (si ricordi che è stato pubblicato nel 1969), è fuor di dubbio. L’autrice non nasconde il suo “sconcerto” (lei che era una donna d’altri tempi) per i cambiamenti (allora ritenuti, radicali) avvenuti negli anni ’60. Sconcerto che fa esprimere ai personaggi più anziani del libro, che non esitano a dichiarare le loro perplessità sulle modifiche al sistema di giustizia penale (nel 1965 la pena capitale per omicidio era stata abolita in tutta la Gran Bretagna) e sulle nuove e permissive “abitudini” giovanili (sesso, droga & rock’n’roll, per intenderci).
Comunque sia, questo romanzo mi ha fornito l’occasione di interrogarmi sulle zucche e su Halloween, spingendomi a intagliare le mie prime Jack o’ Lantern molto prima che le serie tv, i film per adolescenti e i fumetti importati dagli States diffondessero anche da noi le tradizioni anglo-americane per la Vigilia di Ognissanti.
Così, dagli inizi degli anni ’80, anno dopo anno, decennio dopo decennio, la sera della Vigilia di Ognissanti, intaglio la mia zucca. L’unica differenza è che, quando vivevo in paese, la zucca destinata a diventare una Jack o’ Lantern mi veniva regalata da chi le coltivava per nutrire i suoi maialetti: era irregolare nella forma e nei colori, ma si poteva mangiare dopo la notte di Halloween; ora, invece, le compro da “Cortilia”: mi arriva a domicilio nella varietà non commestibile, ma presenta una forma bella regolare e un colore arancio molto acceso.
Oggi, la reputazione delle zucche è decisamente cambiata in meglio: i programmi di cucina che imperversano no-stop dalla fine degli anni novanta e i blog di ricette hanno fatto scoprire tutto un mondo in fatto di zucche (dai risotti alle parmigiane; dai tortelli ai passati ligth; dai muffin ai biscotti. E l’elenco è ancora molto lungo…)
Anche nel mio paese d’origine è stata molto rivalutata.
Ai nostri giorni, però, quasi nessuno cresce i suoi maialetti per far provviste di salumi e le scorte di zucche nei “catòi” rimangono solo un bel ricordo della mia infanzia. Oggi, le donne del paese le comprano al supermercato, come si fa in città: già in fette o a cubetti sigillate nella pellicola trasparente per alimenti, accompagnate, a volte, da un rametto di rosmarino, che ci sta sempre bene.
Questa volta Agatha non ci ha lascia alcuna ricetta fra le righe. Nel romanzo c’è solo il riferimento a due thè: uno accompagnato da “salcicce deliziose, cotte a puntino”, servito dalla sorella dell’ex ispettore Spence; l’altro servito dalla signora Butler e accompagnato da focaccine calde (clicca qui se vuoi la ricetta) e tartine al cetriolo (clicca qui per la ricetta).
Tuttavia, non posso lasciarvi senza una ricetta che preveda anche un pò di zucca proprio alla Vigilia di Ognissanti, perciò vi rimando a quelle che avevo già pubblicato nel blog per altre occasioni: la torta di zucca (pumpkin pie) di Jessica Fletcher (clicca qui), una ricetta tipica americana che si fa per il Giorno del Ringraziamento, e la composta di zucca (clicca qui), una ricetta del Nord Italia (terra sempre all’avanguardia, anche in fatto di zucche!) che ho trovato in un libretto dedicato interamente a questo buffo e generoso ortaggio.

Avrei tanto altro da raccontarvi sulle zucche, ma mi sono ripromessa di non scrivere più articoli troppo lunghi. Spero di avere ancora occasione di parlarvi di questi simpatici ortaggi e di altri ricordi legati alle mie Jack o’ Lantern del passato.
E ora non mi resta che augurarvi: Happy Halloween!
Angela
12 thoughts on “Io, le zucche e Halloween”
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