Pepe e Salvo: la spudoratezza e il candore

Pepe e Salvo: la spudoratezza e il candore

Sono imperdonabile. Lo so. Ho pubblicato l’ultimo post agli inizi di giugno e solo ora mi faccio viva. Il fatto è che, agli impegni lavorativi e familiari di sempre, si sono aggiunti anche un viaggio verso Sud, un matrimonio, lo svuotamento definitivo di una casa, in cui un tempo sono stata molto felice, e le varie faccende legate alla ristrutturazione di un’altra che, per me, rappresenta già il posto dell’anima.

A dirla tutta, avevo portato con me sia il portatile sia una gran voglia di scrivere. Ma sapete com’è quando si fanno certe “rimpatriate” in occasione dei matrimoni…

Tuttavia, sono riuscita a fare ugualmente qualcosa per il blog e fra breve capirete anche cosa.

Nell’ultimo post vi ho parlato dell’”autostoppista fantasma”, la leggenda metropolitana più conosciuta di sempre, legata al primo racconto del libro Storie di fantasmi di Manuel Vàsquez Montalbàn. La cosa che più ho gradito di questa storia breve (oltre il fatto che sia riuscita a riportarmi alle estati trascorse “sui muretti” a disquisire sui fantasmi) è che basta leggere le prime 10 pagine e già trovi uno squisito piatto da assaporare: “casseruola di ripieni”, ovvero zucchine, pomodori, melanzane e peperoni ripieni di carne trita di maiale, profumata con noce moscata. È una ricetta familiare per chi, come me, viene dal Sud. Ed è anche il piatto che ho deciso di cucinare per gli invitati (solo per poco) misteriosi di questo post

Ma prima di svelare l’identità degli ospiti, direttamente dal libro, un assaggio di alcune situazioni alquanto surreali che si possono verificare quando il detective Pepe Carvalho, protagonista di questa raccolta di storie, è alle prese con il cibo…

 Carvalho annusa la casseruola, ma deve sollevare il naso perché qualcuno è entrato in ufficio. Un tipo sul genere progressista, con la barba, fra la seconda e l’eterna giovinezza, vale a dire sull’orlo della quarantina. «La porta era aperta.» «E continua ad esserlo, per cui la prego di richiuderla, a meno che non aspetti qualcuno.» «No, sono solo, ma disturbo, è evidente.» Indica la casseruola. «No, non disturba. Sto per mangiare quello che ha cucinato Biscuter, il mio aiutante, e può anche lei, se gradisce.» «A quest’ora?» «Se lei fosse in Inghilterra, a quest’ora si farebbe fuori un paio di uova fritte con bacon, un po’ di quegli orribili cereali mummificati con latte, succhi di frutta, tè al latte. Che cosa le vieta di mangiare dei pomodori ripieni profumati di noce moscata?» «In effetti, presa da questo punto di vista…» «Esatto. È una questione di punti di vista.»

L’interlocutore di Carvalho è il cliente che gli sta per affidare “ il caso dell’autostoppista fantasma”.

Il secondo racconto, La Nave fantasma, è ambientato alle Canarie. In questa storia breve viene “rispolverato” un altro classico delle leggende metropolitane: la nave che fa naufragio e che poi viene sistematicamente avvistata nel mare, fra la nebbia, come un fantasma, appunto, senza nessuno a bordo che la governi. In questo racconto Carvalho, oltre che alla ricerca di chi ha ucciso l’armatore del Marìa Asunciòn (la nave fantasma), è anche alla ricerca dei piatti più tradizionali della cucina canaria: come il maiale stregato, le patate raggrinzite con la salsa verde al coriandolo o con quella rossa piccante (i mojos), il soncocho (filetti di pesce con aglio, prezzemolo, succo d’arancia e zafferano) e i tordi (un tipo di pesce azzurro) che alla fine cucinerà lui stesso a casa della bella vedova dell’armatore ucciso…

Nel terzo racconto, Pablo e Virginia, ci si sposta, infine, in Costa Brava e qui il mistero ha a che fare con l’efferato delitto di una giovane coppia che, nelle modalità, sembra richiamare un rito satanico. Le atmosfere di questo racconto mi sono piaciute particolarmente: una piccola isola della Costa Brava, in estate presa di mira da centinaia di turisti chiassosi,  in inverno abitata solo da 4/5 coppie di intellettuali, fuggiti dalla schiavitù dell’orario fisso. Queste persone vivono fra i volumi bianchi dell’architettura mediterranea, in living progettati appositamente per loro da architetti di successo: con molti libri e spazi per conversare e bere whisky con ghiaccio, mentre dai finestroni contemplano la pineta, il mare e la luna piena… In questo scenario radical-chic avviene l’omicidio di Pablo e Virginia, due giovani di buona famiglia che vestivano all’orientale e che raccontavano di aver viaggiato molto e vissuto in Asia, in Nepal e a Goa.

In questo racconto breve il cibo è utilizzato dallo scrittore per “svelare” la vera natura delle persone e l’occasione gli si presenta con la crisi epilettica di Carlos (uno degli intellettuali dell’isola, nonché padrone di casa), proprio nel momento in cui viene portata una paellera enorme con paella alla valenciana.

E mentre il malcapitato si contorce in preda alla crisi…

…gli altri membri della tribù ne erano scalfiti a malapena. Subito dopo che Carlos era stato messo da parte, le conversazioni recuperarono il filo e, di tanto in tanto, con una certa seppur finta svogliatezza, le forchette avevano ripreso a frugare nel riso cercando i bocconi più grossi e appetitosi. Da un momento all’altro qualcuno dirà, pensò Carvalho, che il meglio è il riso bruciacchiato che resta attaccato al fondo della padella. E infatti, un ometto con i capelli gialli e malaticci, un salutare Rolex al polso e un cucchiaio tenace con il quale cercava l’anima bruciacchiata dell’intruglio, disse:«Non vi piace il fondo bruciacchiato? È la parte migliore.»

Questi, per sommi capi, i casi che Pepe Carvahlo, investigatore privato pragmatico e concreto, è chiamato a risolvere. Misteri che, scopriremo essere, solo in apparenza, “sovrannaturali”.

Ma chi è José Carvalho Touron?

Iniziamo col dire che il detective spagnolo è molto somigliante a chi lo ha creato, quindi a Manuel Vàsquez Montalbàn.

Pepe nasce a Souto, in Galizia, intorno al 1939 (lo stesso anno di nascita di Manuel), ma vive a vive a Barcellona (in una villetta nella zona collinare di Vallvidrera). É un uomo colto (laureato, filosofo) che, però, ha la strana “mania” (ma quale investigatore non ne ha almeno una?) di bruciare i libri letti nel passato, poiché non li riconosce più come mezzo per interpretare il mondo. Ancora: è un comunista (da giovane ha partecipato alla lotta clandestina contro il regima franchista) ed è anche un ex agente della Cia. Poi, è innamorato di Charo, una prostituta a cui scrive centinaia di lettere d’amore, ma senza mai imbucarne una; e, infine (come del resto Manuel che ha scritto anche libri di ricette, oltre che romanzi gialli), è un esperto gastronomo, un ottimo cuoco e adora mangiare. Infatti, nel suo ufficio sulle Ramblas, ha perfino allestito una piccola cucina, regno incontrastato del suo aiutante-cuoco ed ex-ladro di auto, Biscuter.

Biscuter rimane spesso al margine dei casi, ma è una figura che suscita immediata simpatia. Eppure non è “l’utile idiota” che serve allo scrittore per svelare ai lettori i percorsi mentali dell’investigatore o per fungere da cronista, come nella coppia Holmes-Watson o Poirot-Hasting. Né è un sottoposto, delegato da Carvalho a svolgere mansioni secondarie, come nel caso di Nero Wolfe  e del suo collaboratore Goodwin. Del resto i romanzi di Vázquez Montalbán non hanno nulla a che fare con quelli di Arthur Conan Doyle, di Agatha Christie e di Rex Stout. Di Biscuter rimangono memorabili le peregrinazioni nei mercati e nelle botteghe di Barcellona alla ricerca delle materie prime dei piatti che cucina e che poi sottopone al giudizio di Carvalho. Perché per Pepe Carvalho (e per Manuel Vàsquez Montalbàn) «non c’è poetica al di fuori di quella del palato».

Carvalho non è l’ unico investigatore goloso e “ossessionato dal cibo” (vedi sezione About). Il raffinato e presuntuoso detective belga, Poirot, anche se non perde occasione di attaccare la colazione all’inglese (che ritiene assolutamente incompatibile con il suo stomaco “continentale”), non disdegna di farsi servire a letto una tazza di caffè o di cioccolata vellutata accompagnata da croissant. Il verace ispettore francese, Maigret, si lascia coccolare, fra un’indagine e un’altra, dai piatti della cucina tradizionale preparati dalla moglie. Il pigro e abitudinario investigatore privato, Nero Wolfe, che considera il suo lavoro “un indispensabile fastidio”, utile solo a consentirgli un alto tenore di vita, non dedica alle sue attività investigative un minuto in più del previsto, perché ciò sottrarrebbe tempo alle sue faccende preferite: il cibo e la coltivazione delle orchidee. Tuttavia, rispetto al cibo, questi investigatori rimangono meno consapevoli e meno “spudorati” di Carvalho. Nel rapporto con il cibo, Pepe somiglia invece moltissimo al nostro Salvo. Montalbano, intendo. E vi assicuro che non è un caso. Anzi, il detective privato di Barcellona (cinico, donnaiolo ma innamorato di una prostituta, cuoco sopraffino, libertino e difensore delle libertà) è a tutti gli effetti il padre del nostro commissario agrigentino (inserito nelle istituzioni ma ribelle, monogamo, buongustaio ma pessimo cuoco). Del resto, Andrea Camilleri non ne ha mai fatto un mistero: «Il cognome del mio personaggio è piuttosto comune in Sicilia, ma la sua scelta nasce dal desiderio di rendere omaggio a Vázquez Montalbán».

Fra i due detective le differenze sono tante: Montalbano è un uomo delle istituzioni, garante delle regole e lontano da quella libertà di azione che può avere un investigatore privato. Da questa prospettiva, Montalbano è più vicino a Maigret che a Carvalho. Tuttavia, Salvo tende ad avvicinarsi molto a Pepe nello slancio istintivo di protezione dei deboli. Ma la diversità più evidente è sicuramente quella inerente la sfera della sensualità. Pepe è sfacciato con le donne che gli piacciono e, nonostante il suo amore per Charo,  non si tira indietro di fronte agli “amori volanti”. Salvo, invece, è pudìco, timido con le donne, fedele alla sua eterna fidanzata che abita a Boccadasse. È vero, negli ultimi romanzi si fa più intraprendente, ma niente a che vedere con le performance di Carvalho!

Personalmente, però, preferisco il candore di Montalbano: anzi, è il mio secondo “amore di carta” proprio per questa sua caratteristica… e per la sua terrazza sul mare! Ma vi parlerò dei miei “amori letterari” in un altro momento. Quello che ora mi preme dirvi è che è in cucina che i due “sguazzano” più o meno allo stesso modo: Carvalho per cucinare, a volte aiutato da Biscuter; Montalbano solo per mangiare ciò che ha cucinato la cameriera Adelina (perché non è in grado di cucinare da solo).

Il punto è che gli aromi e le ricette, sia nelle pagine scritte da Vàsquez Montalbàn sia in quelle scritte da Camilleri, hanno un’importanza centrale.

Lo scrittore spagnolo dà centralità al cibo per riappropriarsi dei piaceri della vita dopo le innumerevoli difficoltà attraversate da “militante” («…dopo l’assalto al Palazzo d’Inverno abbiamo assaltato la cucina, interessandoci del buon vino, a chiederci se fosse meglio il Rioja del 1963 o il Rioja del 64…»

Lo scrittore siciliano, invece, sottolinea motivazioni più personali: per lui che di “mangiare sa mangiare”, ma che con gli anni deve farlo sempre meno Montalbano diventa un ottimo transfert («…faccio mangiare a lui le cose che non posso mangiare io. Le ricette del mio commissario sono ricette scritte da mia nonna in un quadernetto…»)

Ma forse per Vàzquez Montalbàn e Camilleri il poliziesco è solo un gioco molto spassoso ed entrambi si divertono un mondo a servirci delitti con salsa al coriandolo (mojo) e patate raggrinzite o, in alternativa, con  caponatine di melanzane preparate dalla cammarera Adelina.

 

P.S. Degli ospiti misteriosi e delle ricette vi parlerò nel prossimo post… ho già sforato le tre pagine che mi ero imposta di scrivere. E poi, non trovate anche voi che il finale mi sia riuscito così bene che era un veramente un peccato proseguire?

A presto,

Angela

66 thoughts on “Pepe e Salvo: la spudoratezza e il candore

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