Picnic all’inglese

Picnic all’inglese

Lo so che pensavate che ormai non avrei più scritto nulla sul mio blog…

Chi  mi segue anche su Instagram è a conoscenza  che ho cambiato sede lavorativa e che per raggiungerla impiego quasi 2 ore: in breve, trascorro più o meno 4 ore della mia giornata aspettando treni della metropolitana e mezzi di superficie.

Mio marito sostiene che un po’ di  “milanesità” (intesa come movimento frenetico da una parte all’altra della città) non può che farmi bene: fa presto a dirlo, lui che si sposta in macchina anche per percorrere 100 metri!

Avrei fatto volentieri a meno di questo tipo di “milanesità”, anche perché è maledettamente difficile gestire lavoro, casa, bambini e… blog.  Ma non mollo il blog: questo è certo. Come vi ho confidato qualche mese fa (vedi sezione “About”), nella mia giornata tipo, c’è sempre stato qualcos’altro di più impellente da fare (esami da sostenere, lavori da consegnare, traslochi da affrontare, figli da crescere, case da pulire …) prima di gratificare un po’ me stessa. Ma adesso che finalmente sono riuscita a ritagliarmi il “mio piccolo angolo di felicità”, non ho alcuna intenzione di lasciarmelo portar via dalla mia nuova vita “da pendolare”. Quindi, eccomi! In enorme ritardo, ma sono qui a  parlarvi delle ricette legate all’ultimo giallo che vi proposto di leggere (o di rileggere) agli inizi di agosto: Corpi al sole di Agatha Christie. Ricordate?

Nel mio ultimo articolo (“Vacanze al mare con… delitto!”), mi sono fermata sul più bello, ovvero quando il mitico Hercule Poirot, prima di smascherare l’assassino, propone di organizzare un picnic sulla spiaggia. La merenda all’aperto con tutti i “sospettati” del delitto di Arlena Stuart dà modo all’infallibile detective belga di mettere alla prova una delle sue ipotesi…

Ho sempre adorato i picnic e da bambina ero quella che li organizzava per i fratelli e cugini più piccoli. In primavera o in autunno, quando passavamo i pomeriggi da zia Fiora (che abitava e abita ancora in una bella contrada di campagna, poco distante dal paese in cui sono nata), la merenda si trasformava quasi sempre in un picnic: la zia ci prestava uno dei suoi tanti cestini intrecciati a mano e noi li riempivamo di cibo (fette di pane, salame, formaggio, polpette avanzate dal pranzo, vasetti di verdure sott’olio). Poi partivamo felici, alla ricerca del luogo più bello dove fermarci e sistemare il nostro vecchio plaid di lana a quadri blu e rosso.

Il nostro posto preferito era distante dalla casa della zia non più di 500 metri: era un uliveto con grandi piante dai tronchi maestosi e che sembravano lavorati da un artista. Sceglievamo l’ulivo più grande e ci piazzavamo sotto le sue fronde a consumare la nostra merenda. Spesso la pace era interrotta dal ringhio del cane del proprietario dell’uliveto: noi avevamo paura che ci aggredisse e così raccoglievamo tutto in gran fretta e correvamo via. Quando, invece, non c’era il cane ad inseguirci, ci soffermavamo a raccogliere i ciclamini selvatici (se era autunno) o le primule (se era primavera).

A queste merende nell’erba, a volte, oltre che i miei fratelli e mia cugina Rosa, partecipavano anche altri bambini, figli di amici o di parenti dei nostri genitori.

Raffaele, figlio di una cugina di mio padre, era uno degli invitati più assidui. Era un bel bambino paffutello, dalle guance rosse come mele Stark e che non disdegnava alcun tipo di cibo: spazzolava tutto, anche i nostri avanzi.

Un giorno (ricordo che era un caldo pomeriggio d’ottobre) mia zia mise nel cestino anche un vasetto di melanzane sott’olio. Così, come di consueto, dopo aver individuato il nostro albero preferito, mi sono premurata di apparecchiare per la merenda, togliendo il tappo al vasetto di melanzane, in maniera che ognuno di noi potesse servirsene con la propria forchetta. Ma quel pomeriggio così caldo e umido, era anche uno di quelli in cui le mosche sono particolarmente numerose e fastidiose e, alla fine, più di una finì nel vasetto di melanzane, dibattendosi nell’olio, per poi finire miseramente soffocata…

Naturalmente né io, né i miei fratelli, né tantomeno mia cugina Rosa toccammo più quelle melanzane. Ma Raffaele, dopo averci guardato in modo interrogativo, afferrò il vasetto con decisione, infilò le sue dita un po’ grassocce fra le melanzane e, prendendole per le ali, tirò via le mosche ormai morte stecchite. Poi ci chiese con molta cortesia se eravamo veramente sicuri di non voler più quelle delizie sott’olio e, solo dopo che i cinque bambini che aveva di fronte avevano contemporaneamente scosso la testa per dire no, afferrò la forchetta e iniziò a mangiare di buona lena …

Anche in famiglia si organizzavano dei picnic: di solito in Sila, a fine agosto. E mia madre e le miei zie non si limitavano a portare dei semplici panini imbottiti di salame e provola… sulle nostre tovaglie adagiate nell’erba c’era di tutto: dalle melanzane ripiene allo spezzatino piccante di interiora, dalle cosce di pollo grigliate alla carne di maiale conservata sotto sale e poi cucinata, dai peperoni e patate saltati in padella alle soppressate e ai capocolli affettati.

All’inizio delle superiori, però, ho iniziato a maturare l’idea che il picnic dovesse essere anche “chic”, oltre che divertente e gourmande. Saranno state le letture dei romanzi di Jane Austen o il dipinto Le déjeuner  sur l’herbe (1865-1866, Parigi, museo d’Orsay) di Claude Monet, artista che adoro… il fatto è che da allora ho iniziato a pensare al picnic come a un evento che dovesse essere anche elegante, sentendomi alquanto in imbarazzo se, per esempio, al mare, mia zia Lola toglieva ogni ben di Dio dal suo enorme termos fluorescente. Fu in quel periodo che in famiglia,  mi affibbiarono l’appellativo di “aristocratica”.

Oggi la mia idea di picnic aggiunge, alla piacevolezza dello stare insieme e all’aspetto open air, anche la ricerca del cibo più adatto, del posto perfetto e, soprattutto, della cura dei dettagli.

Diciamo pure che la penso esattamente come gli aristocratici inglesi a riguardo: si deve scegliere con molto accuratezza un luogo isolato, con una vista pregevole, non rinunciando però a tutto il necessario per apparecchiare in modo elegante: piatti di ceramica, calici per il vino, posate d’argento, tovaglioli di lino…

Per ciò che concerne il cibo, di solito mi lascio un po’ guidare da ciò che è il significato letterale del termine: pique (cogliere, spiluccare) e nique (cosa di poco conto): tanti piccoli bocconi, che si possano mangiare con facilità all’aperto, ma che siano anche un pò ricercati…

A fine agosto avrei voluto organizzare un picnic sulla spiaggia e invitare l’amica che un tempo, sotto l’ombrellone, mi rimpinzava di lasagne, di bucatini alla parmigiana e di tiramisù (leggi Quella irragiungibile leggerezza del corpo). Purtroppo quello non era il momento migliore per lei… ma ci saranno altre occasioni.

Tuttavia, non potevo rinunciare al picnic, sia perché li adoro sia perché ero impaziente di cucinare delle ricette che potessero “abbinarsi” al giallo Corpi al sole.

Così, in un week end di questo ottobre così caldo, io e la family siamo partiti per una gita al lago.

Non c’era il paesaggio tipico del Devon, ma i piccoli bocconi che ho preparato erano squisitamente inglesi: i cornish pasty, tipici della Cornovaglia, ma molto diffusi anche nel Devon, le scotch egg, i sandwich al cetriolo e quelli ai fichi, i muffin alle mandorle e, solo in onore del raffinato Hercule (che adora i formaggi delicati), ho anche portato del formaggio camembert, accompagnato da cetriolini sott’aceto e da pane di segale preparato in casa.

3 thoughts on “Picnic all’inglese

  1. Mi piace molto leggere i tuoi racconti. Mi hai fatto ricordare momenti perduti nel tempo, quando ancora c’erano i familiari paterni, principalmente mio nonno, le vecchie zie e la famiglia era unita. Ricordo di un enorme picnic in Sila, io ero una bambina, eravamo partiti con tante macchine e arrivati nel lugo prestabilito avevano formato delle vere e proprie tavole apparecchiate di tutto punto. Vi era ogni ben di Dio, tutto quello che concerneva il classico picnic calabrese che tu ben conosci. Noi, invece, in famiglia facciamo regolarmente i picnic al mare, perchè quando io vado al mare ci vado veramente! Non mi muovo da li, ci resto dalla mattina al tramonto. Generalmente porto un’infinità di spuntini leggeri di tutti i tipi, frutta e verdura in abbondanza, perchè non intendo rinunciare a nessun bagno. Quel libro “Creme & Crimini” di cosa tratta? Me lo consigli? Un saluto affettuoso
    Maria Grazia

    P.S.
    Hai apparecchiato un picnic veramente elegante e invitante!

    1. Grazie: le tue parole sono sempre di incoraggiamento!
      “Creme&Crimini” è un libro scritto da due francesi (corredato fra l’altro da splendide fotografie) che hanno “rintracciato” tutte le ricette originali citate nei romanzi di Agatha Christie. Se ami la cucina inglese (che vedrai, non è sciatta come la descrivono molti), te lo consiglio vivamente.
      Ti abbraccio

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