Quattro chiacchiere e ‘na tazzulella ‘e cafè
Eccomi! Sì, sono ancora viva!
A un certo punto ho veramente pensato che il momento in cui mi sarei nuovamente seduta al mio pc per scrivere del commissario Ricciardi, di chi lo ha creato e della meravigliosa cucina campana (cilentana, nello specifico) non sarebbe mai più arrivato.
Sono stati mesi molto faticosi, non tanto per il lavoro, ma per la distanza da percorrere giornalmente. In più, tra giugno e luglio ho intrapreso l’ennesimo trasloco. Ma, almeno per ora, è finita: sono arrivate le tanto attese vacanze estive.
Ho iniziato a scrivere di Ricciardi in un giorno di pioggia di fine ottobre. Non era una pioggia “normale” quella. Il cielo sopra Milano era color piombo e alle tre del pomeriggio era già buio. Ha continuato a piovere fino al giorno dei morti.
Il giorno dei morti. Questo il titolo del romanzo che vi ho proposto parecchi mesi fa e in cui l’elemento che faceva da sfondo al tragico caso che Ricciardi era chiamato a risolvere era proprio la pioggia.
Oggi che ho ripreso finalmente a scrivere sono nel Sud e la temperatura supera i 40 gradi e mi verrebbe quasi voglia di parlarvi di un altro romanzo di De Giovanni, In fondo al tuo cuore, dove l’elemento ricorrente è invece il caldo torrido di luglio che rende la città di Napoli come sospesa tra cielo e inferno.
Ma, a mio modo, io sono una persona metodica e prima di affrontare un’altra storia devo concludere nel giusto modo la precedente. E chi ha già letto i miei articoli, sa che il giusto modo è a tavola!
In questo articolo avrei tanto voluto parlarvi dell’autore: non so perché, ma mi ero messa in testa che, durante la presentazione di uno dei suoi libri, sarei riuscita a incontrarlo a Milano e che avrei parlato con lui scoprendo cose che non erano già in rete. Come, ad esempio, la sua decisione di non scrivere più gialli in cui il protagonista fosse l’affascinante Ricciardi… Invece, neanche quello. E dire che il 26 di marzo era effettivamente a Milano a presentare il seguito di Sara al tramonto…
Quello che, a questo punto, posso scrivervi dell’autore è ciò che letto in rete. Il suo esordio nel mondo della scrittura, con la nascita del personaggio del commissario Ricciardi, avviene in maniera casuale, nel 2005: alcuni amici lo iscrivono, quasi per scherzo, a un concorso letterario organizzato in alcune città italiane dalla Porsche per il lancio di un nuovo modello. Maurizio vince il concorso con un racconto il cui protagonista era, appunto, il commissario Ricciardi, che aveva la capacità di percepire l’ultima emozione di coloro che morivano per morte violenta. L’idea di dotare il suo personaggio di tale capacità gli viene proprio durante il concorso. Dall’interno del dello storico Gran Caffè Gambrinus (da sempre ritrovo di intellettuali, politici, uomini di affari) che ospita il concorso, vede passare una bambina. Sentendosi osservata, la bimba si gira e gli fa una linguaccia. Lo scrittore, sorpreso da quel gesto inaspettato, si volta per controllare se qualcuno degli altri partecipanti al concorso avesse visto la scena. Ma nessuno sembra aver notato nulla di strano.
Da questo curioso episodio, gli viene l’idea di scrivere di un personaggio che vede cose che gli altri non possono vedere…
Fra le altre cose curiose che ho letto su Maurizio De Giovanni, c’è anche quella relativa alla sua somiglianza con il brigadiere Maione: è l’autore stesso che lo afferma in un’intervista. E, secondo il mio modesto parere, non lo dice solo per modestia (Maione non è un adone come Ricciardi), ma perché, come il brigadiere, apprezza il buon cibo.
Nei romanzi, è Maione il buongustaio, infatti. É lui che non vede l’ora di rincasare pensando al ragù preparato dalla moglie Lucia, ottima cuoca. E, passando dal Gran Caffè Gambrinus, mentre l’inappetente commissario si limita a prendere un caffè, lui è solito accompagnare la classica “tazzulella” con almeno tre sfogliatelle “da re”.
Dal canto suo, Ricciardi sembra quasi temere, invece, il momento in cui si siede a tavola davanti a una pietanza preparata dalla tata Rosa. Non perché la donna non sia brava a cucinare, al contrario! La cucina della tata Rosa arriva direttamente dalle tradizioni del Cilento che, a loro volta, risalgono ai tempi delle colonie greche. Il “problema” è in Ricciardi, che, tormentato dalle sue visioni, finisce per non godere dei piccoli piaceri della vita, come lo possono essere i “ciccimmarretati” (una zuppa di legumi, cereali e castagne), oppure la “menesta ‘mmaretata” (un piatto a base di verdure di campo e carne di maiale, preparata soprattutto per le feste di Natale e di Pasqua).
Nel giallo Il giorno dei morti, in una fredda sera di pioggia, Rosa prepara appunto la “menesta ‘mmaretata”, ma lo schizzinoso commissario la mangia solo per non deluderla e perché ha i suoi occhi puntati addosso…
In autunno, quando le temperature non raggiungeranno più i quaranta gradi e sui banchi del mercato compariranno cicorie, scarole, verze, borraggine, catalogne e castagne, farò onore alle minestre “maritate” di Rosa. Per il momento dovrete accontentarvi del migliaccio, il dolce preparato dalla insipida Enrica, la maestra innamorata di Ricciardi.
Ho avuto la ricetta da una collega di Napoli che ho conosciuto quest’anno. Cristina, questo il suo nome, adora cucinare e mangiare. Non solo. Quando parla di cibo o ti spiega una ricetta, ha il potere di incantarti e tu non puoi fare a meno di desiderare ardentemente il cibo di cui si sta parlando. Molto spesso, è stata lei a rifocillarci durante le interminabili riunioni dopo il lavoro: non ci ha fatto mancare gli struffoli a Natale, le chiacchiere a Carnevale, le zeppole a San Giuseppe, la pastiera e il casatiello a Pasqua… Un giorno le ho chiesto se conoscesse il migliaccio e lei, preparatissima, mi ha spiegato che era un dolce tipico di carnevale, di origine contadina, fatto con semolino e ricotta. Il giorno dopo mi ha portato la ricetta, spiegandomi il procedimento. Nel ringraziarla, le ho detto che quando mi sarei decisa a farlo, l’avrei invitata ad assaggiarlo. E così è stato: prima che lei partisse per Napoli per le vacanze estive (e prima che io smantellassi completamente la casa per il trasloco), abbiamo passato un bel pomeriggio insieme che si è concluso con una “tazzulella e’ cafè” e una fetta di migliaccio.
Sono felice di averlo fatto, perché da settembre non la rivedrò tutti i giorni: fortunatamente per me, ho avuto il trasferimento in un’altra sede di lavoro che è molto più vicina al posto in cui abito. Mi mancheranno i suoi deliziosi manicaretti, ma soprattutto mi mancherà il modo appassionato con cui parlava di cibo.
Angela
5 thoughts on “Quattro chiacchiere e ‘na tazzulella ‘e cafè”
Che delizioso caffè… Chissà se anche il caffè napoletano ha poi conosciuto le restrizioni della autarchia?!?
Da ciò che ho letto nei romanzi di De Giovanni, non si direbbe…
No, in effetti, e forse per questo e per molto di più, De Giovanni non vuole far invecchiare il suo commidsario oltre il 1935…
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