La “gricia” sbagliata
In un assolato pomeriggio di agosto della scorsa estate ho inaugurato una nuova rubrica del blog in cui mi impegnavo a creare un piatto “speciale” dedicato a tutte le scrittrici e a tutti gli scrittori che sarebbero passati “virtualmente” dal mio blog.
La mia prima ricetta (clicca qui) è stata (ovviamente) ideata per la regina del giallo classico: Agatha Christie. Del resto, i primi articoli pubblicati su “Gialli da assaporare” sono stati ispirati proprio dai suoi romanzi.
La seconda “ricetta speciale” è per chi ha scritto il secondo romanzo che ho presentato nel blog (se sei interessato a leggere gli articoli precedenti che riguardano tale autore, clicca 1 ; 2 ; 3 ). Ricordo che quando vi parlai del suo libro, fui molto onesta: non era un romanzo che avevo scelto personalmente e, se non lo avessi ricevuto in dono, forse, non l’avrei mai comprato. Perché? Per almeno tre motivi: un autore americano che non conoscevo; un titolo che non mi incuriosiva particolarmente; un detective che non mi ispirava…
Queste circostanze hanno fatto sì che quel volumetto blu-spento, edito da Sellerio, rimanesse fermo sulla mia scrivania, per ben quattro mesi. Poi qualcosa mi fece cambiare idea, spingendomi a leggerlo.
Questo qualcosa aveva a che vedere con l’autrice del romanzo: sì, perché in realtà Ben Pastor è una donna (fra le altre cose, molto bella), italiana di nascita e americana di formazione. All’anagrafe del nostro Paese è infatti Maria Verbena Volpi, nata a Roma e laureata in archeologia alla Sapienza. A 24 anni è partita per l’America e lì, nella terra delle grandi opportunità, si è costruita una brillante carriera come docente di Scienze Sociali in un college militare, la Norwich University, e poi in altre Università (Ohio, Illinois, Vermont). Intanto, sposando un ufficiale americano d’origine basca, Daniel Pastor, il suo cognome è anche mutato in Pastor (la trasformazione da Verbena in Ben è invece dovuta al fatto che per gli americani il nome italiano risultava di non facile pronuncia)
Ma quello che mi ha più impressionata (forse perché per anni ho “bazzicato” anch’io nel mondo accademico e proprio nel campo delle Scienze Sociali) è stata la sua produzione saggistica, molto ricca e poliedrica: ha scritto su Federico Garcìa Lorca, sulla “mente genocidiale”, sull’etnomusicologia, sul femminismo in letteratura, sull’archeologia greca e latina, sulla storia dell’emigrazione italiana in Vermont… Tutto questo mentre scriveva racconti per le principali riviste americane di letteratura poliziesca, tra cui Alfred Hitchcock’s Magazine, The Strand Magazine e Ellery Queen’s Mystery Magazine.
Poi la sua passione per la storia ha iniziato a prendere il sopravvento e le vicende delittuose sono diventate per lei un pretestoper raccontare (con la precisione di una studiosa, ma il brio di una giallista) luoghi e momenti della “grande storia”.
I gialli storici che ha scritto sono al momento 20: 5 appartenenti al ciclo di Elio Spaziano (qui il detective è Elio, storico e soldato dell’antica Roma); 2 che appartengono al ciclo di Praga (in cui a condurre le indagini è Solomon Meisl, medico-detective ebreo di origini proletarie); 13, infine, che fanno parte del ciclo di Martin Bora (immaginario capitano della Wehrmacht ispirato alla figura di Claus von Stauffenberg che nel luglio del 1944 organizzò l’Operazione Valchiria, il complotto per uccidere Hitler).
I libri con Martin Bora sono diventati dei best seller, ma io avevo dei dubbi sul protagonista di questi gialli ambientati nell’epoca più nera del Novecento europeo, perché, tutto sommato, sono una lettrice “semplice”, “ingenua”. Una che ama credere che i detective debbano essere cavalieri senza alcuna macchia. Certo, posso tollerare qualche loro piccola mania (per esempio, che abbiano la fissa per l’ordine e per la simmetria; che curino con dedizione esagerata delle orchidee; che parlino e pensino solo in dialetto siciliano; che qualche volta alzino il gomito; persino che vedano dei fantasmi), ma che siano dei nazisti… Poi, leggendo, ho compreso la singolare scelta di Ben Pastor: raccontare il punto di vista di chi, pur facendo parte del regime nazista, ha mantenuto una coscienza.
Ammiro profondamente questa studiosa-scrittrice. Ci sono tantissime cose che sento di avere in comune con lei. Per esempio, la passione per i misteri e per la Storia. Forse non l’ho mai raccontato, ma alle elementari volevo fare l’archeologa, egittologa per la precisione. All’epoca immaginavo di essere la studiosa che avrebbe scoperto le camere segrete della piramide di Tutankhamon e che poi avrebbe dovuto trovare il modo per sfuggire alla sua maledizione. Una sorta di storica-detective, insomma. Del resto, come spesso mi capita di spiegare ai miei giovani studenti, il lavoro dello storico è molto simile a quello del detective. Lo storico come un investigatore, formula le sue ipotesi sui fatti e sugli eventi che deve indagare; cerca i resti, le tracce i e documenti che gli indicano la via da seguire e che provano la correttezza delle sue conclusioni; infine, conclude la sua indagine, ricostruendo i fatti e gli eventi che ha indagato. In altre parole, quello che fa Ben Pastor: sia come storica accademica sia come scrittrice di gialli storici.
Sono contenta che dopo il divorzio abbia deciso di ritornare a vivere in Italia. Anzi, sapere che vive a meno di 100 km da Milano (in un piccolo borgo immerso fra i vigneti sul confine tra Lombardia ed Emilia), mi dà un certo… conforto.
In un articolo del Corriere della Sera ho letto che ha scelto l’Oltrepò perché, essendo stato un crocevia millenario e una terra di incontri e scontri tra popoli, lo ritiene un luogo ideale in cui lavorare e creare storie. E come darle torto! In quelle zone si svolsero grandi eventi: dalla vittoria di Annibale sui Romani (avvenuta in Val Trebbia) al dominio di Federico Barbarossa nel XII secolo (quando l’Oltrepò divenne “Pavese”). Dopo arrivarono gli Sforza, i Malaspina, i Dal Verme, i Visconti e i Beccaria che costruirono una fitta rete di castelli, roccaforti e torri nei cui pressi sorsero abitazioni e piccoli borghi che ancora oggi conservano le vestigia di un tempo. E proprio in una ex fortezza militare del 1700, diventata poi dogana tra le due regioni della Val Tidone, ha deciso di vivere e lavorare Ben Pastor. Quando poi non veste i panni della giallista, fa l’archeologa (ha partecipato agli scavi sulla Piana di San Martino, un sito archeologico posto nel comune di Pianello Val Tidone, in provincia di Piacenza) e perfino la bibliotecaria (dirige la biblioteca di Rovescala).
Ben Pastor si definisce una di quelle persone che per vari motivi si trovano sempre e comunque in terra di confine: infatti è cresciuta tra due province italiane e dopo ha vissuto in molti luoghi di frontiera americani (lungo il fiume che separa l’Illinois e il Missouri; in quella repubblica di confine per eccellenza che è il Texas; nell’Ohio, vecchia porta del West, e nel Vermont che guarda il Canada). Attualmente abita un pezzo di terra dell’Oltrepò Pavese che per mille anni ha rappresentato il confine tra due comuni, province, regioni e stati.
Questo dimorare al margine fra culture è per la scrittrice il dettaglio biografico che più la rappresenta.
Partendo proprio da questo dettaglio, ho ideato una ricetta che vuole essere metafora di partenze e arrivi e di incontro fra culture. Si parte idealmente da Roma; si arriva nel Vermont e, infine, ci si ferma nell’Oltrepò Pavese. Ho chiamato questa ricetta “una gricia sbagliata per Ben”.
La “gricia” (lo sapete tutti) nasce in un passato lontanissimo, in un borgo (Amatrice) che guarda caso si trova al “confine” tra due regioni (Lazio e Abruzzo). Per i puristi, essa non può e non deve avere più di 4 ingredienti: guanciale, pecorino romano, pepe nero e pasta (preferibilmente, spaghettoni, tonnarelli o rigatoni). Nella mia ricetta ho disseminato, invece, una serie di contaminazioni (“sbagli”, per i puristi) che vorrebbero cogliere l’audacia di chi, come Ben Pastor, ama passeggiare sulle frontiere, ovvero su quelle terre di nessuno che brulicano di opposti.
Il primo degli “ingredienti sbagliati” è il maple syrup, lo sciroppo d’acero, un must della cucina statunitense. Questo prodotto è tipico del Vermont, il fascinoso Stato del Nord America, noto anche per i meravigliosi colori del suo foliage autunnale. Il Vermont è anche il posto in cui si era stabilita la nostra scrittrice prima di ritornare in Italia.
Il secondo “ingrediente sbagliato” è il peperone di Voghera, un ortaggio dal gusto dolce, ma poco pronunciato, tipico di una località dell’Oltrepò Pavese non lontana dal borgo in cui attualmente ha scelto di vivere Ben Pastor..
Il terzo “ingrediente sbagliato” è il Grana Padano da mescolare, in egual misura, con il pecorino romano.
La ricetta finisce con la preparazione di una riduzione di sciroppo d’acero aromatizzata al rosmarino. Ma inizia con … (clicca qui)
10 thoughts on “La “gricia” sbagliata”
Non mi funziona il link per la ricetta…
Hai ragione! Avevo dimenticato di creare il collegamento… Ora ho sistemato. Grazie per averlo segnalato.
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